Chi
e che cosa si nasconde dietro l'apparentemente femminea denominazione
Mamasé Blues Band? Donne? Nonne? Gonne? Bluse?
Niente di tutto questo, bensì il progetto blues che coinvolge quattro musici già noti ai radar del Corvo e ai suoi attenti e buongustai avventori, vale a dire Marco Pellegrini (voce, armonica e chitarra), Stefano Di Matteo (chitarra), Nicola Di Camillo (basso) e Fausto Troilo (drums). Quindi è facile che vi sembri di non sapere cos'è 'sta Mamasé Blues Band, ma in realtà probabilmente la conoscete in pezzi di mosaico, o meglio potete avere quantomeno cognizione di quello che è capace di fare – e comprendete bene che il prossimo appuntamento di Puzza Fa' Lu Blues vi/ci aspetta un seratone.
Venerdì 10 aprile facciamo un viaggione con la Mamasé Blues Band che parte da Chicago e arriva idealmente – sonoramente – alle coste della California, al blues elettrico e alle radici del rock blues.
Già che ci siamo torniamo brevemente alla saga Puzza Fa' Lu Blues e spendiamo due parole sul blues di Chicago, che rappresenta la naturale evoluzione del capitolo Delta blues cui abbiamo già accennato.
Ci eravamo salutati alla fine degli anni '30 nei campi di cotone del Sud-Est degli USA. Durante la Seconda Guerra Mondiale circa il 10% della popolazione nera dell'agricolo Mississippi emigrò nei grandi centri del Middlewest per trovare lavoro nell'industria bellica. Dal contesto d'origine, gli afroamericani si portarono dietro il blues del Delta avviluppandone le essenziali radici rurali con le nuove istanze elettrificate dettate dall'ambiente urbano. Tale mescolanza fu all'origine dello stile Chicago.
Questa sorta di conciliazione ideale fra vecchio e nuovo si definì attraverso modelli ispiratori che avevano espresso i caratteri più innovatori del blues del Mississippi, e in particolare Robert Johnson. Johnson, tormentatissimo bluesman risucchiato dalla passione per la musica, era più anziano di due anni appena di quello che è considerato il padre del blues di Chicago, e che è poi la prima fra le grandi personalità legate a questo stile che di séguito rassegnamo alla vostra mercé tipo panoramica sommaria tutt'altro che esaustiva su quello che ascolteremo con la Mamasé.
Dicevamo,
il padre del blues di Chicago – chi sarà mai? Ovviamente: McKinley
Morganfield, universalmente noto come MUDDY WATERS (1913–1983).
Allevato dalla nonna in una capanna nella piantagione di Stovall e
cresciuto fra i banchi fangosi del Mississippi – e infatti mud
significa proprio fango – Muddy Waters e il suo destino a Chicago
sono legati a doppio filo alla storia di Robert Johnson.
Infatti nel 1941 l'etnomusicologo Alan Lomax decise di andare nel Sud
a caccia di diamanti grezzi del blues a distanza di qualche anno
dalla scoperta e dalle incisioni discografiche di Johnson, e fu così
che lo studioso fece registrare a Waters, in casa sua a Stovall, un
disco di brani che, riascoltati dal musicista dopo breve tempo, lo
convinsero a tentare fortuna come professionista a Chicago. Qui,
insieme a John Lee Hooker Muddy Waters esportò lo stile del Delta conservandone la matrice
ritmica ed elettrificandone l'energia istintuale. Nel 1948 Waters
pubblicò I Can't Be Satisfied, in cui la sua chitarra dialogava con
il contrabbasso di Ernest “Big” Crawford in poliritmi derivati
dalla tradizione del Delta. Rollin' Stone, singolo del 1950, ha invece ispirato il nome della rivista Rolling Stone e soprattutto quello dei Rolling Stones. (Mica poca cosa.)
LITTLE WALTER (1930–1968) – al secolo Marion Walter Jacobs – era originario della Louisiana. Fu un virtuoso dell'armonica a bocca ed era talmente talentuoso che riuscì a emancipare questo strumento dalla tradizionale posizione di – per così dire – subordinazione rispetto alla chitarra con l'amplificazione. Arrivò ad appena 12 anni a New Orleans, e poi a 16 a Chicago. Qui cominciò un'intensa e proficua collaborazione da armonicista con Muddy Waters, ma incise anche brani propri cantando ed entrando nella Top Ten per ben 14 volte dal 1952 al 1958. Una di queste hits era My Babe, un eloquente esempio di come il blues e il rock 'n' roll fossero ormai territori che si alimentavano l'uno dell'altro e viceversa senza più confini ben definiti.
AARON
'T-BONE' WALKER (1910–1975), texano dal sangue afroamericano e
cherokee, è stato il precursore di tutti i grandi showmen armati di
chitarra elettrica del rock 'n' roll. È ricordato per le qualità di
intrattenitore acrobatico, era solito fare la spaccata continuando a
suonare la chitarra sulla testa, e i suoi brani sono dotati di
spiccata ballabilità. A Los Angeles si mise a mescolare blues, R&B
e jazz, e tirò fuori dal cappello l'electric blues, di cui è
considerato il vero pioniere.
Chester Arthur Burnett HOWLIN'
WOLF (1910–1976) fu una delle personalità di maggior carattere del
blues di Chicago e il più audace concorrente di Muddy Waters. Sul
palco sapeva dare piena e libera espressione al suo carisma di
artista consapevole e orgoglioso di sé. Non disdegnò il successo
commerciale e curò sempre gli interessi finanziari connessi
all'attività professionale di cantante e armonicista. Smokestack
Lightning, costruita su un unico accordo, lanciò Howlin' Wolf nel
1956 come uomo di spettacolo. Dal padre del Delta blues del
Mississippi Charley Patton, che in gioventù gli aveva insegnato a
suonare la chitarra, Wolf aveva in qualche modo ereditato anche
l'arte non trascurabile di saper intrattenere a dovere il pubblico.
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