sabato 28 novembre 2015

Orgoglio torvo: corvi letterari (prima parte)

Povero corvo... Nella tradizione letteraria non ha fatto quasi mai una figura anche soltanto passabile. Qualche eccezione consolatoria in effetti esiste e l'abbiamo registrata, ma in generale le sue penne scure e il suo vociare non propriamente gradevole lo hanno reso oggetto di associazioni mentali poco edificanti, se non di maledizioni vere e proprie. 

Storie in letteratura che coinvolgono a vario titolo il nostro pennuto preferito ce ne sono in larga misura, e per questo contesto ci accontentiamo dell'adagio nel bene e nel male, purché se ne parli

Ecco una selezione di grandi classici letterari contenenti corvi; va da sé che pure nei casi in cui questi ultimi sono tacciati di cosacce brutte, vi consigliamo lettura e approfondimento: anche solo per dissentire sull'eventuale visione globale negativa sottesa, esprimere solidarietà ai nostri amati, e dare voce all'Orgoglio Torvo che se siete arrivati fino a qua innegabilmente vi contraddistingue.

Icona messinese del profeta Elia, XVIII secolo
I primi corvi letterari importanti che trattiamo qui risalgono alla narrazione biblica incentrata sulle vicende di un personaggio abbastanza impegnativo. Il profeta Elia appare in lungo e in largo nei Libri dei Re 1 e 2 della BIBBIA, resuscitando gente, moltiplicando cibarie, ammonendo sovrani zozzoni e assassinando a mani nude frotte di infedeli. 
Alla fine Elia neanche muore, tanto è poco ordinario il suo caso umano, ma viene rapito da un carro infuocato condotto da cavalli che trascinano il profeta in un turbine fino al cielo (2Re 2,11) – come una specie di Gesù in ascensione o un Apollo perso nel sole
Fra le mille e più avventure in cui è implicato questo impavido personaggio ce n'è una che ci interessa da vicino: all'inizio della sua carriera di rimbrottatore di malfattori, Elia se ne va in eremitaggio forzato a vivere in mezzo alla natura dissetandosi alle acque di un torrente. Qui viene sfamato da dei fantastici corvi che, maestri della ristorazione pure in mezzo alla carestia, gli garantiscono una dieta varia ed equilibrata a base di pane e carne (1Re 17,3-6). Il tutto accade per intercessione e volere divini – e qui non aggiungiamo altro per non essere blasfemi e non scivolare sulla facile buccia di banana dell'autocelebrazione. 

Esopo (VI sec. a.C.), Fedro (I sec.) e Jean de La Fontaine (XVII sec.), invece, al corvo gli hanno fatto fare tutti quanti una figura abbastanza barbina – una figura unica cumulativa, dato che di base raccontano la medesima vicenda. 

IL CORVO E LA VOLPE è una favola vecchia come il cucco, è stata narrata a vario titolo da tutti i letterati citati di cui sopra. Come si ricorderà, è la storiella di un corvo un po' tordo e parecchio vanitoso: si lascia fregare un pezzo di formaggio da una volpe che lo adula e lo invita a cantare per dimostrarle che la bellezza delle penne corrisponde a un talento vocalico improbabilissimo. 
Il corvo è di quelli a cui piace piacere – ego smisurato?, insicurezza? – e che si gongolano nelle sviolinate; spalanca il becco e gli cade il formaggio, prontamente afferrato dalla volpe, che si da alla fuga. 
Giovanni Arpino – giornalista e scrittore del secolo scorso – ha persino inventato una coda alla favola, nella quale il corvo, oltre alla figuraccia, fa anche una brutta fine e ci lascia le penne per zampa della figlia della volpe.

Altre pagine, altro esimio letterato, e altro corvo soprattutto – che però, nel caso specifico che segue, c'entra in maniera alquanto ambigua
Giovanni Boccaccio, quello del Decamerone, a un certo punto della sua vita – in piena andropausa pre-mortem, intorno al 1365 ad essere precisi – ripudia amore cortese e storielle sconce in un sol colpo, prendendo la strada della misoginia. Nel CORBACCIO butta giù un delirio violentissimo nel quale immagina il defunto marito di una donna che ha rifilato un due di picche a un tale disperatissimo – il tale dell'io narrante – mentre sciorina tutta una serie di invettive nei confronti della vedova, volte a mostrare la vera natura odiosa, arcigna e lussuriosa non solo di lei, ma di tutte le donne in stock. 
Il tono di Boccaccio è fra il grottesco e l'acido, tanto che fra i filologi del caso c'è chi sospetta che qualche donna gliel'avesse negata, e lui medesimo stesse più o meno vagamente, autobiograficamente e definitivamente rosicando di brutto (come sapete la ciuccia inciuccinisce soprattutto chi ne soffre la carenza). 
Quello che resta incerto è a quale corbaccio si riferisca il titolo della prosa: forse al corvo come allegoria gracchiante «simbolo funebre di maldicenza e aggressività», oppure alla vedova per «il color nero del [suo] vestimento». Comunque sia, nulla di simpatico.

Illustrazione di Édouard Manet
Qualche secolo dopo Edgar Allan Poe si sballava tantissimo con tutto quello che gli capitava sotto. Alcool e droga a manetta lo trascinavano in viaggioni tremendi e soffertissimi, in cui il poveraccio non si sa se trovasse il conforto o l'oblio cui – supponiamo – aspirasse, ma quantomento fu da essi agevolato alla costruzione di un'estetica personalissima piena di fascino lugubre
Tutto ciò che cercava Poe con ossessione maniacale era Bellezza, completa e incontaminata – scevra da intenti sociali o didattici. La cercava nella musicalità dei suoni delle parole e nelle immagini misteriose ed evocative, e sicuramente fece centro nel 1845, quando conquistò la fama con la poesia THE RAVEN (Il Corvo), tradotta e commentata in Francia da mostri sacri e altrettanto maledetti e fraciconi come Mallarmé e Baudelaire
La Bellezza di cui sopra qui comprendeva l'uccello del malaugurio («the bird of ill omen», così l'autore spiegava il senso del nostro amato pennuto), nonché profeta e insieme cosa del male, che incessantemente ripete il suo famoso nevermore (mai più!) in ricordo della defunta amata Lenore della finzione poetica.  

ULTIMO VIENE IL CORVO è un bellissimo racconto del 1947 di Italo Calvino, nonché raccolta di brevi storie contenenti il racconto stesso pubblicata nel 1949. Nel nostro piccolo vi invitiamo a leggere per la tensione emotiva e la lucidità realista con cui l'autore riesce a cogliere l'assurdità di un omicidio e, con esso, di qualunque assassinio sullo sfondo della Resistenza e delle campagne del settentrione. 
Il corvo anche qui presta le sue penne in funzione di messaggero funesto. Calvino – e non dobbiamo dirlo noi – è un maestro nel cogliere il carattere contemporaneo ed eterno dei simboli della ritualità umana. Il suo è un corvo solenne che appartiene a tutte le epoche della storia umana e delle sue guerre stupide e innecessarie.
Illustrazione di Attilio Mussino

L'ultimo corvetto letterario che citiamo qui appare in uno dei testi più conosciuti, diffusi e per questo motivo snaturati al mondo in codazzi di versioni varie ed avariate, ovvero il PINOCCHIO di Collodi
All'inizio del XVI capitolo, il burattino viene recuperato impiccato a un albero grazie all'intervento della Fata Turchina, che lo sistema a letto privo di sensi e chiama al suo capezzale tre medici affinché lo recuperino. Uno dei tre è appunto un Corvo, che assolve le sue tradizionali funzioni di menagramo pure in questa situazione e spaccia paradossalmente il pezzo di legno Pinocchio per morto.

Alla prossima con altri corvi letterari...

domenica 15 novembre 2015

Dago Red in concerto il 20 novembre con PerCorsoRoma

Ogni pretesto è giusto e sacrosanto per ospitare i Dago Red fra le solide e pietrose mura del Corvo.

Stavolta l'occasione buona ce l'ha apparecchiata su un piatto d'argento PerCorso Roma, che il prossimo venerdì riempirà i locali aderenti di Blues&Food con 7 eventi live di musica che spazia dal blues al jazz passando per tutte le felici e disparate contaminazioni del caso. Bello, no?

I Dago Red suoneranno all'Osteria il 20 novembre, a partire dalle 21.30, e torneranno a condividere il loro repertorio di folk e blues nutrito di brani storici del genere, insieme a pezzi originali tratti dai 3 album all'attivo – che potete ascoltarvi anche online direttamente da qui


Di loro abbiamo già detto e scritto, ci piacciono un sacco e li aspettiamo ad ali spalancate, perché sanno di buono, di familiare, di caldo e corroborante, come il vino rosso tracannato dai disgraziati dagoes italici immigrati che cercavano fortuna – o perlomeno sopravvivenza - nel Nord-America dei primi decenni del secolo scorso; come quel conforto alcolemico un po' cerimoniale e un altro po' scavezzacollo che si portano nel nome, e che riecheggia negli aromi e nei colori nell'orizzonte domestico, modesto eppure classico, nella sua essenzialità venata di dissacrante ironia 100% bluesy, dell'omonima raccolta di racconti Dago Red, per l'appunto – del corregionale John Fante.

Vi consigliamo di prenotare per tempo, perché quando ci sono i Dago Red nei paraggi i tavoli vanno via come il pane non stiamo esagerando. Quindi chiamateci allo 0872 716303, e poi keep on bluesin' e keep on cra-cra-cra!