Ultimamente al Corvo Torvo si respira
un'atmosfera fiabesca. La fiaba è quella di Pinocchio – pure
quella biblica di Giona prima della sua, se vogliamo fare i saputelli
– che combina un sacco di robe discutibili e alla fine si ripulisce
delle malefatte e trova riscatto per mare, in acqua, nelle viscere di
un pescecane. Pinocchio, poi, da pezzaccio di legno scampato alle
fiamme del camino per mano di Geppetto, si trasforma in una cosa
bellissima, la cosa più bella e piena di vita al mondo: diventa un
bambino.
Al Corvo l'atmosfera è davvero da
fiaba di Pinocchio, però non ci troverete né marionette né
parrucche turchine, bensì – perlopiù – pesci, e non nel piatto
ma alle pareti. I pesci si sa, non sono cose – e non sono cose
neanche i bambini – ma questi pesci di cui parliamo adesso sono
fatti di cose, per di più riesumate fra gli scarti risputati dalle
acque dell'Adriatico e poi adottati e riportati alla vita da Francesco
Colozzo, artista autodidatta che si divide l'esistenza fra Cagliari e
Gaeta.
Il mare ha sempre fatto parte del suo
quotidiano, e siccome camminare sul bagnasciuga è rilassante e lo
iodio fa bene alla tiroide, lui si è fatto sempre delle gran belle
passeggiate a riva. Siccome poi – come spiega sul suo sito – il
mare è il suo grande amore, e dato che spesso lungo la battigia le
onde spiaggiano zozzerie e magagne di provenienza umana che insultano
la Natura tutta e mettono rabbia e sconforto, Colozzo si è messo a
raccogliere i rifiuti e a ricrearli in forme nuove, de-nocivando e
nobilitando gli originari materiali abbandonati alla mercé del
nulla. Niente è rifiuto fino in fondo insomma, e Colozzo sceglie di
modellare quanto gli capita sotto mano massimamente in sembianze di
pescioloni colorati, surrogati di creature per definizione in
movimento perpetuo, un panta rei che scorre senza sosta in fluidi
vitali declassati dall'uomo a fogna per le proprie porcherie
consumistiche. Da "monnezza" a arte c'è tutto un abisso di mare, come
da pezzo di legno a bambino.
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